@Daniele858
La norma nazionale che non consente il regime fiscale delle locazioni brevi (cedolare secca) quando siano destinati alla locazione breve più di quattro appartamenti sul territorio nazionale (fatti salvi gli eventuali più stringenti vincoli regionali) è oggetto di discussioni, in particolare sulla tipologia di presunzione (assoluta o relativa ?) di imprenditorialità.
Inoltre, essendo una norma recente non ci sono ancora contenziosi tra contribuenti e Agenzia delle entrate che possano consentire corrette interpretazioni della norma.
Una recente risposta dell'Agenzia delle entrate a un interpello (n.278, agosto 2020) - comunque precedente all'introduzione della norma nazionale - riconosce la presunzione come relativa.
L'Agenzia infatti afferma:
Al fine di individuare i criteri idonei a determinare lo svolgimento di un'attività di locazione nell'esercizio di attività di impresa, occorre far riferimento ai princìpi generali stabiliti dall'art. 2082 del codice civile e dall'art. 55 del TUIR (con riferimento all'esercizio di attività commerciale).
A tal fine, non può farsi riferimento alle normative regionali in materia di attività e strutture turistico-ricettive , in quanto si ritiene che le citate disposizioni disciplinano materie diverse e presentano diverse finalità, non contenendo tali leggi regionali disposizioni che possano assumere rilevanza ai fini fiscali.
Allo stato attuale, pertanto, in applicazione dell'articolo 55 del TUIR, deve ritenersi che l'attività di locazione produca redditi d'impresa e non redditi fondiari soltanto qualora la stessa sia organizzata in forma di impresa, a nulla invece rilevando
il numero delle unità immobiliari locate.
Se per prudenza consideriamo la presunzione come assoluta (e quindi collegata al solo numero di unità immobiliari in locazione breve), nel caso prospettato (3 unità immobiliari possedute al 100% poste in locazione breve, più 2 unità immobiliari possedute al 50% poste in locazione breve dall'altro comproprietario) la stipula da parte dell'altro comproprietario di contratti di locazione breve potrebbe non essere sufficiente per superare la presunzione di imprenditorialità.
Sulla stipula di contratti di locazione da parte di un solo comproprietario c'è una consolidata presa di posizione da parte dell'Agenzia delle entrate, secondo la quale il comproprietario che non partecipa all'atto deve comunque dichiarare pro-quota il canone di locazione tra i redditi fondiari (persino nell'ipotesi in cui non incassi neppure una quota del canone).
Di conseguenza, nella dichiarazione dei redditi risulteranno 3 unità immobiliari possedute al 100% utilizzate per la locazione breve, più 2 unità immobiliari possedute al 50% anch'esse utilizzate per la locazione breve.
Certamente la dichiarazione potrà attirare l'interesse dell'Agenzia delle entrate e potrebbe essere oggetto di contestazioni.
Non conosco i rapporti tra i comproprietari, ma una possibile soluzione potrebbe essere un contratto di comodato gratuito (meglio in forma scritta) registrato all'Agenzia delle entrate, con il quale per le due unità immobiliari in comproprietà, un comproprietario assegna all'altro il godimento e l'uso della propria quota.
In questa ipotesi, il comodatario stipulerà i contratti di locazione e incasserà totalmente i relativi canoni. Per la locazione breve, le norme fiscali prevedono un'eccezione alla regola generale: il comodatario-locatore diventa unico titolare del reddito derivante dal contratto di locazione breve, qualificabile come reddito diverso. Con un'ulteriore eccezione (trattandosi di un reddito diverso) : la possibilità di optare per l'imposta sostitutiva (cedolare secca 21%).
Si tratta solo di un parere. Suggerirei di avvalersi della consulenza qualificata di un dottore commercialista.
Per risolvere il problema potrebbe essere opportuno un interpello all'Agenzia.
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Buon proseguimento.