Cominciò quasi per caso, come tutte le cose belle.
Tra quelle mura io sono stata tante cose: molto triste, felice, ribelle, aperta all’erranza, con le trecce, con i capelli lisci, con i biancori e i rossori, ho avuto i tormenti dei quindici anni, ho fatto le fesserie dei sedici, poi mia madre è mancata e in quella enorme casa siamo rimasti solo io e mio padre, che usciva e rientrava, poi il suo trasferimento, ho adottato un cane, o meglio, è lui che ha adottato me, mi sono iscritta all’università, mi sono innamorata, sono stata ricambiata, ma poi no, abulica, smarrita, sciocca, e con una voglia insaziabile di dare un senso a giornate d’arido tedio.
Mio padre all’inizio non voleva. Una ventenne sola in casa, in balia di qualche bizzarro vacanziero anglicano, tuonò. Poi, dopo lunghi e angosciosi pensamenti e ripensamenti, alla fine cedette, a patto però che gli riferissi ogni cosa, il più piccolo dettaglio, perché per diventare davvero adulti bisogna prendersi delle responsabilità o almeno giù di lì.
Fatto sta che un cinereo pomeriggio di novembre, un improbabile viandante greco-ortodosso varcava per la prima volta la soglia di casa mia con il suo sacco a pelo sdrucito da cui sbucava una piccola ascia (cosa che mi sono ben guardata dal riferire a mio padre), e nel giro di qualche anno la mia casa è diventata una girandola impazzita di mille colori, suoni e sapori nel rumore inutile che può fare Milano se non sai bene cosa sei, ma sempre in quello stato mentale dell’avrò fatto una c@zz@ta a fare ‘sta cosa qua, poi, piano piano, il fatto che le persone ritornavano e alcune insistevano pure perché viaggiassi insieme a loro mi dava un po’ di convinzione, forse non ero una completa squilibrata e forse in me c’era qualcosa di buono.
E’ passato tanto tempo da allora, da quando ero inconsapevole e mite, ma, se ripenso a questa esperienza, ora che i pensieri sono chiari, credo che il mio “successo” sia stato aver incontrato un buon amico – l’hosting - che ha riempito il vuoto dentro e fuori di me ed è riuscito a fare ordine nella confusione che mi ritrovavo al posto della vita.
Già. Un bel “successo”, un bel rinnovamento, insomma, cercare le ali per volare da sola, fatica e conquista quotidiana, perizia e caso, rischio e spensieratezza, ma credo anche che ospitare, al di là del ritorno economico, sia stato un gioco contagiosissimo e divertente, un piacere controllato, un modo “altro” di godere la vita, a cui intonare un Om che poco a poco diventa un raga o forse un blues bell’è buono all’hosting indimenticabile di quegli anni, che è quasi archeologia e eccetera eccetera.
Quindi non so. Credo che il mio “successo” sia stato quello di avere trovato uno scopo per cui valeva la pena di fare certe cose, anche folli, tipo puntare la sveglia alle quattro di notte per fare un “check-in” alle cinque, ma che comunque avevano un valore per me: spalancare le porte della mia casa al mondo, transito di esistenze distanti, quasi solo intuite, infilandomi in pensieri e culture lontane che mi sono subito piaciute, abbandonando quei pensieri che si sentono continuamente nei bar e nelle persone di buonsenso.
Per due o tre mesi, mentre iniziavo, ho spesso chiesto a Dio, a cui credevo a giorni alterni, se per caso c’era e, quindi, essendo Dio, conosceva già il mio futuro di host, di avvertirmi se stava già scritto nelle sue intenzioni che avrei fatto un buco nell’acqua ad ospitare forestieri, così restavo tranquilla a casa a studiare le glomerulonefriti o mi dedicavo a gloriose giornate di ozio, di vizio e di aria aperta, e non mi esponevo a fatiche inutili, ma Dio, come al solito, ha taciuto. Cosa che non mi ha affatto stupita perché credo che lui preferisca che le cose le scopriamo da soli nel corso della nostra vita, senza tanti aiuti dall’alto.
E allora via, con un po’ di timore addosso, mi sono buttata in questa bellissima avventura metà fisica e metà no, e ho visto il mio fiumiciattolo farsi lago. Da mite sono diventata dina-mite e ho imparato che il successo non è quello stereotipato della pubblicità o delle riviste, ma è quella cosa che ti fa stare bene e che ti fa combattere ogni giorno per essere felice.