Il mio viaggio con AIRBNB è stato molto particolare. Io mi sono sempre sentita una host, anche se, di fatto, non lo sono mai stata, in quanto il vero host era mio padre.
Quando è stato trasferito a Ginevra, l’ho convinto ad affittare la nostra casa di Milano ai turisti. L’hosting è uno strano mezzo di trasporto per l’anima. L’avventura con AIRBNB mi ha subito incuriosita. Sono salita su questo treno colorato per curiosità, per allegria, per conoscere l’altro, per cercare nuovi mondi, per guadagnare nuovi inizi.
Forse è fascinazione dell’altro, forse è una questione personale tra me e una vecchia amica, a cui sono da sempre affezionata: la condivisione informale, quell’innocenza (oggi defunta), vagamente “New Age”, un po’ “svitata” degli esordi dove si passava dalla condivisione del tappeto consunto di nonna Serafina al capanno sperduto in una pineta sul mare. Questa è, e sarà sempre, la mia AIRBNB.
Il nastro dei ricordi continua a scorrere dentro di me inesorabile anche se oggi non affitto più ai turisti. Mio padre è sempre stato molto rigido con me, i valori, i principi base, come correttezza, onestà, rispetto. Mi ha insegnato ad essere indipendente, fin da piccolissima, spingendomi nel mondo, perché quello sarebbe stato il mio destino.
Il prezzo che ho pagato e che pago tuttora è questo: la curiosità per l’ignoto che non si è ancora placata, di vedere cosa c’è un po’ più in là, oltre quella frontiera, di conoscere persone con nomi strani, colori, sapori, profumi, codici diversi dai miei, di prendere le misure della mia vita osservando quella degli altri, per non avere la sensazione che la mia vita mi stia sfuggendo dalle mani.
Ho cominciato davvero molto presto a desiderare di prendermi il mio spazio e di fare la mia strada. Mi sentivo ormai una donna. Era inevitabile che mi chiedessi come sarebbe stato gestirmi da sola, se sarei stata in grado.
Dovevo trovare un modo per “fare senza”: senza papà, senza gusci, senza stampelle su cui appoggiarmi, sopra di me solo un cielo pieno di stelle e una luna mannara.
Quel vuoto mi rendeva inquieta. Cercavo di riempirlo stando fuori casa il più possibile. A caccia di rumore, e Milano non mi deludeva. Di giorno studiavo, seguivo le lezioni all’università, ma quando tornavo a casa la sera, la casa era vuota. La voglia di ospitare, e di avere la casa piena, è venuta di conseguenza. Ma ce l’avrei fatta? Non avevo idea. Affittare da sola la casa di papà. A vent’anni!
E’ stato un momento epico. Ricordo ancora quel giorno. La prima presa di contatto. Il primo sì. Se volete venire a Milano, siete i benvenuti a casa mia. Volevano.
Era come se la mia vita fosse iniziata solo allora. Avevo l’impressione di conquistare il mondo, ospite dopo ospite. Un mondo che mi apparteneva e al quale io appartenevo. E’ bastato poco per fare di me una persona più sicura, più resiliente. Se cadevo, mi rialzavo.
E una delle prime cose che questa meravigliosa esperienza mi ha insegnato è di non avere paura, di avere fiducia nella gente, nell’aspetto umano di relazione che lega due perfetti sconosciuti. Questa sensazione mi dà tuttora molta forza.
Aprivo la porta, ed uscivo, senza pensieri, sicura che non mi sarebbe successo niente, qualsiasi cosa avessi fatto. E di cose ne ho fatte parecchie: dall’ospitare turisti con cattive recensioni (con alcuni dei quali in seguito ho perfino viaggiato fino a Capo Nord) ad accettare caramelle dagli sconosciuti (prenotazione immediata), cercando però di rimanere sempre vigile, con l’istinto da felino ben affilato. Potevo perfino contare su una guardia del corpo fedele con me e spietata con gli altri: Frodo, un ragazzone spettinato a quattro zampe che avevo adottato tempo prima.
Dei turisti mi è stato insegnato a fidarmi e sempre mi sono fidata. Loro mi hanno ricambiato, a volte perfino protetta, coccolata, presa così com’ero.
Perché ho deciso di fare hosting? Dopo tanti anni posso azzardare una risposta: per trovare un senso di me. Ho sicuramente ricevuto più di quanto ho dato.