Il fatto è che qui si usa lo strumento del regolamento edilizio come un ingegnoso cavallo di Troia per scardinare una materia di esclusiva competenza statale, partendo da un errore di base (locazione turistica = struttura turistica ricettiva): se parto da una premessa falsa, la conclusione non può essere che falsa, per cui io rispettosamente dissento.
Posso capire il Piano Regolatore per la “città antica”. Posso capire la Legge speciale. Posso capire le ragioni urbanistiche e territoriali. Se però adesso ci si mettono pure gli architetti e gli urbanisti a disciplinare direttamente i rapporti tra i privati e le relative attività contrattuali locative disciplinate dal codice civile, spingendosi oltre, dilatando cioè i confini della legislazione amministrativa comunale a qualsiasi attività privata locativa, a prescindere da ulteriori e specifiche qualificazioni sottoposte al vaglio di Giunta (*), alle incursioni del Comune nel diritto privato non ci sarebbe più alcun freno, come, invece, deve esserci.
E’ qui che la “partita” si gioca ed il risultato non è così scontato. In realtà, il distinguo tra la disciplina tra i rapporti tra i privati e quella tra i medesimi soggetti privati e la pubblica amministrazione, sebbene chiaro in astratto, è delicatissimo in singole fattispecie concrete, compresa quella su cui ci stiamo confrontando, non foss’altro perché gli effetti scaturenti per il privato dall’esercizio dei poteri amministrativi si riflettono di fatto sovente sui suoi rapporti con altri soggetti, anch’essi privati rispetto al rapporto con la pubblica amministrazione.
Ed è proprio per questa ragione che la legge 217/1983, che non a caso si autoqualifica legge di “principi”, a cui le Regioni debbono ossequio, ha messo un confine preciso facendo combaciare il divieto alle Regioni nella disciplina di diritto privato con il loro potere, impositivo, di legiferare ed esercitare poteri amministrativi solo al riguardo di attività turistiche gestite in forma d’impresa che, in soldoni, vuol dire: “Stai al tuo posto, non provare ad intrometterti, con vari espedienti, nella disciplina di diritto privato!”.
Vi è di più. La giurisprudenza costituzionale, proprio allo scopo di rendere inequivoco il discrimine tra la vigilanza amministrativa dei Comuni e delle Regioni sui privati e la disciplina di diritto privato, ha posto un “Chi va là?” sul primo comma dell’art.117 della Costituzione, se non anche un limite di riforma economico-sociale, mi verrebbe da dire, e come tale da imporsi perfino alle stesse Regioni a statuto speciale, ogniqualvolta lo Stato – in veste di legislatore – ha provveduto a demarcare, con apposite norme, la natura, la consistenza o il tipo di attività che i Municipi e le Regioni possono disciplinare ed irregimentare in via legislativa ed amministrativa, ma senza gravare le locazioni tra privati di ulteriori vincoli conformativi, la cui estensione non risulti previamente definita dalla legislazione statale.
Il che corrisponde non solo alla garanzia dovuta ai privati per l’art.41 della Costituzione, ma anche come la stessa Corte costituzionale ha più volte illustrato, alla salvaguardia dei principi di libertà enunciati dall’art.120 Cost., principi di libertà, questi, i quali – com’è palese – hanno nel comparto turistico un peculiare risalto.
E’ vero che le leggi sin qua emanate dalle Regioni e dei Comuni hanno talora per così dire sfiorato, nei modi più disparati, la materia delle locazioni turistiche poste in essere da privati non rientranti in nessuna delle complicate e bizzarre tipologie tratteggiate per “strutture ricettive”, ma una cosa è che la legge regionale prescriva una qualche forma di comunicazione e “bollinatura” e altri adempimenti finalizzati alla rilevazione statistica del movimento turistico regionale, altra – e ben diversa cosa – è che la legge comunale pretenda di definire i caratteri di questa locazione, la durata, il numero dei portoni, il numero delle strutture ricettive in un fabbricato riconducibile alla stessa proprietà, integrando le regole della disciplina civilistica e della legge-quadro statale, e alterandone la disciplina.
Ora – se come dici: “Non si è visto e non si vedrà nei prossimi anni alcuna trasformazione di unità abitativa in locazione turistica a CAV o UAAT” - il Comune non può aspettarsi che il locatori turistici prendano torte in faccia, rimanendo inerti. I privati si muoveranno, seguendo traiettorie variegate per vedere riconosciuto il diritto di gestire i propri beni immobiliari senza essere inseriti nella ricettività regionale e senza altri obblighi se non quelli sanciti dalla legislazione nazionale in materia d locazioni.
Le leggi, comprese quelle regionali e comunali, presentano spesso delle debolezze ed è su queste debolezze che i privati – se chiusi in un angolo – entreranno, con esiti imprevedibili.
Le finalità esclusivamente turistiche della legge 431 non sono affatto quelle proprie dell’immobile (a Venezia, come a Canicattì), bensì dell’agire del conduttore, vale a dire è l’elemento motivazionale quello che rileva (a Venezia, come a Canicattì): la vocazione turistica di un immobile non conta una beata cippa! Anzi, le vacanze più sofisticate si realizzano nei posti più poveri, in luoghi oggettivamente non attraenti, che di esotico e di turistico hanno davvero ben poco. E la scelta può anche essere economica, di risparmio.
Ma arriviamo al dunque. Se io vado a Venezia non a mie spese per motivi di piacere o di svago, ma per esigenze professionali e lavorative (ad es. alla Biennale per quattro settimane) ovvero come studiosa d’arte, quindi pagata, (ad es. per archivi e mostre per sette giorni), il locatore veneziano non deve utilizzare il contratto breve per finalità turistiche, ma dovrà ricorrere ad un contratto transitorio breve, che non corrisponde ad una fattispecie tipizzata dall’accordo territoriale del Comune, ma si motiva sulla base di “altra esigenza specifica del conduttore collegata ad un evento certo a data prefissata ed espressamente indicata in contratto”), con conseguente soggezione del rapporto, che il locatore ha costituito con me, alla disciplina giuridica individuata dalla legge 431 (art.5, primo comma) e, in questo caso (contratto transitorio di durata inferiore a 30 giorni), senza necessità della produzione e allegazione al contratto della documentazione che confermi la mia esigenza transitoria, ma solo l’asseverazione unilaterale del contratto (attestato di rispondenza all’accordo locale del contenuto della locazione transitoria) da parte di un’associazione di categoria.
Ma diciamo che, invece, io vado a Venezia per dieci giorni per motivi di svago e di riposo, per visitare la città a mie spese, ma accetto il “patto diabolico” del locatore che mi propone un transitorio simulato scritto “bollinato” e che poi io decida di portare la mia controparte davanti ad un giudice in un’aula di Tribunale per la riconduzione giudiziale del mio contratto (cui prodest? quale locatario porta in giudicato il suo locatore per un rapporto locativo, di pochi giorni, che si è già esaurito?).
Non tutti gli illeciti sono reati. Non costituisce reato la simulazione di un contratto transitorio. Guarda che io non sto scrivendo queste cose per invogliare i locatori veneziani a percorrere questa (cattiva) strada, sto solo dicendo che tale fattispecie avrebbe natura civilistica, non penale, in quanto sarebbe una mera intesa dissimulata civile su un immobile contrattualizzato.
Posto che il giudice non potrebbe contestare pattuizioni relative al canone né ricondurre il contratto transitorio a canone libero alle condizioni conformi a quanto previsto dall’art.2 (commi 1 e 3) della legge 431, nei casi di nullità di cui all’art.13, co.4 (qui non c’è alcun extracanone, vale a dire un canone maggiore rispetto ad un concordato) né potrebbe essere contestata la forma verbale, tale da costituire una locazione di fatto, cosa farà mai il giudice, se queste due distinte ipotesi saltano (non c’è alcuna disposizione nell’art.13 della legge 431/1998 che indichi come operare una regolarizzazione di un transitorio in un turistico)?
Sul piano probatorio, il negozio transitorio potrebbe essere inficiato dal fatto che l’alloggio venisse periodicamente pulito o dal cambio periodico della biancheria o da altri elementi indiziari o contestato per testi o per presunzioni, art.1417 (Prova della simulazione) cod. civ. Ma tale prova rigorosa potrebbe non essere così semplice.
L’opera del giudice dovrebbe, quindi, solo limitarsi alla espunzione delle pattuizioni nulle, in quanto contra legem, ed alla sostituzione con norme codicistiche imperative, cioè l’art.1419, co.2 (Nullità parziale) e all’inserimento di clausole omesse, art.1339 (Inserimento automatico di clausole) e 1374 (Integrazione del contratto) cod. civ., realizzando un assetto contrattuale non coincidente con la volontà, quanto meno, di uno dei contraenti.
Conclusione? La locazione simulata di un transitorio può consentire la formazione, mediante decisione giudiziale, di un’intesa contrattuale in conformità non del contratto-tipo (nel turistico non esiste un contratto-tipo), ma alle sole finalità reali del contratto dissimulato.
(*) Non sapevo che adesso in Veneto una nuova struttura ricettiva complementare non acquisisse più automaticamente la destinazione d’uso edilizia turistico-ricettiva, ma fosse sottoposta ad una valutazione preventiva. Solo per curiosità: che destinazione acquisiscono ora i B & B, che in passato costituivano un’eccezione, mantenendo la destinazione abitativa? Lo sai che stare dietro a tutte le leggi regionali, decreti attuativi e deliberazioni della Giunta della tua Regione, @Lorenzo253, è davvero, davvero estenuante!?